EVOLUZIONE DELL'AUTORESPIRATORE A OSSIGENO Maurizio Baldinucci Quando Sir Robert H. Davis, direttore generale e proprietario della Siebe Gorman Ltd, inventò nel 1910 il celebre DSEA (Davis Submerged Escape Apparatus), una sorta di rebreather ad ossigeno concepito per il salvataggio degli equipaggi di sommergibili in avaria sul fondo e senza possibilità di manovra (vedi Fig. 1 e Fig. 2), certo non poteva immaginare quali sviluppi avrebbe avuto questo apparecchio nei decenni successivi, sia nel settore militare che in quello sportivo. Fig. 1 Fig. 2 A dire la verità, come spesso capita quando si parla di invenzioni di successo, non è chiaro se il DSEA fu concepito da Sir Robert Davis in maniera autonoma o se tale apparecchio fosse in realtà già stato inventato dalla Draeger di Lubecca nello stesso anno (1910) con il modello DM Tauchretter (vedi Fig. 3 e Fig. 4). Attraverso numerosi esperimenti su questo tipo di autorespiratore, condotti principalmente nelle vasche di prova della Marina Militare Inglese ed in quelle della stessa Siebe Gorman, l’apparecchio fu continuamente perfezionato e, a partire dalla fine degli anni ’20, cominciò ad essere adottato da varie Marine Militari compresa quella Italiana. Fu proprio il DSEA, che in Italia venne acquistato dalla Marina Militare Italiana in 4000 esemplari e costruito su licenza dalla Pirelli (si vedano la Fig. 5 e la Fig. 6 che mostrano uno di questi apparecchi recuperati dal relitto del leggendario sommergibile Scirè, affondato dagli inglesi al largo di Haifa il 10 Agosto del 1942), il modello di respiratore dal quale vennero sviluppati i primi apparecchi sperimentali destinati agli operatori dei Siluri a Lenta Corsa (SLC o più familiarmente “maiali”) della Marina Militare Italiana (vedi Fig. 7 e Fig. 8). Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5 Fig. 6 I primi esperimenti con questi autorespiratori risalgono al 1935 e fanno parte del lavoro di sviluppo su questi mezzi d’assalto proposto alla Marina Italiana da Teseo Tesei e Elios Toschi, i due ufficiali del Genio Navale che ebbero questa intuizione ispirandosi all’impresa dei tenenti Paolucci e Rossetti con la “mignatta” durante la prima guerra mondiale (affondamento nel 1918 della corazzata austriaca Viribus Unitis nel porto di Pola). La I.A.C. (Industria Articoli Caucciù) di Tivoli, poi acquistata nel 1938 dalla Pirelli, venne chiamata dal Ministero della Marina ad occuparsi della progettazione e dello sviluppo di un modello di autorespiratore adatto allo scopo. Fig. 7 Fig. 8 A supervisionare questo progetto venne incaricato il comandante Angelo Belloni (vedi Fig. 9), famoso personaggio legato al sommergibilismo italiano e noto per la sua quasi completa sordità e per le numerose invenzioni in materia di salvataggio e recupero del personale dei sommergibili incidentati (vedi Fig. 10). Fig. 9 Fig. 10 Pur lasciando la configurazione del nuovo respiratore simile a quella del DSEA, ma dovendone aumentare drasticamente l’autonomia e la spinta di galleggiamento, Belloni lavorò principalmente sui seguenti elementi dell’apparecchio: Capacità del filtro della calce sodata Volume del sacco polmone Capacità delle bombole di ossigeno Sistema di erogazione dell’ossigeno Sostituzione degli occhialini del Davis con una maschera granfacciale bioculare Eliminazione del sistema di rallentamento della velocità di ascesa (una specie di tendina arrotolata che veniva estesa dall’operatore al momento della risalita per rallentare la velocità e ridurre il rischio di sovradistensione polmonare) Il primo modello così sviluppato (il “49”) durante le prove in acqua a Porto Santo Stefano raggiunse un’autonomia di ben 3 ore. Gli studi e gli esperimenti su questo autorespiratore continuarono anche negli anni successivi e portarono alla produzione prima del modello “49/bis” (vedi Fig. 11) e poi del modello “50” (vedi Fig. 12) con maschera a vetro unico e sul quale venne montato il nuovo filtro di tipo radiale che resterà poi il riferimento per tutti i modelli successivi di ARO sviluppati anche nel dopoguerra. Questi autorespiratori avevano ormai raggiunto autonomie dell’ordine delle 5 ore che gli episodi bellici con questi mezzi dimostreranno essere assolutamente necessarie. Fig. 11 Fig. 12 L’aumento drastico di prestazioni portò purtroppo al notevole aumento del peso e dell’ingombro di questi apparecchi che raggiunsero un peso totale dell’ordine dei 16 kg ed un volume del sacco polmone di circa 11 litri. Del resto il comandante Belloni il quale, dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 10 Giugno 1940, sarebbe stato nominato dal Ministro della Marina consulente tecnico della nuova scuola sommozzatori di Livorno, non riuscì mai a concepire l’idea di un autorespiratore ottimizzato per il nuoto subacqueo e quindi con doti di idrodinamicità, compattezza e leggerezza che una applicazione di questo tipo avrebbe potuto richiedere. Restò al contrario legato all’idea dell’operatore subacqueo che veniva trasportato da mezzi quali i “maiali” o in grado di avvicinarsi all’obiettivo da colpire semplicemente marciando sul fondo. Ed infatti le sessioni di addestramento degli aspiranti operatori dei mezzi subacquei della marina, comprendevano lunghe ed estenuanti marce sul fondo con l’equipaggiamento tipico mostrato nella Fig. 13 e nella Fig. 14. Fig. 13 Fig. 14 Le velleità di Belloni circa le presunte possibilità del cosiddetto “fantaccino subacqueo”, che avrebbe dovuto trasportare sulla schiena un barile esplosivo di circa 50 kg sui bassi fondali antistanti i porti nemici per vari chilometri, entrare in porto, individuare l’obiettivo, applicare il barile esplosivo e poi tornare indietro, vennero definitivamente smontate dal comandante del nucleo “Gamma” il tenente di vascello Eugenio Wolk (Fig. 15), con il quale lo stesso Belloni collaborava. Wolk, che era stato un campione di nuoto in gioventù ed era ancora tra i migliori nuotatori del suo reparto, non riuscì a percorrere più di 3500 metri sul fondo prima di crollare per la fatica e per l’intossicazione da CO2. Parecchi dei suoi uomini mollavano molto prima, alcuni già dopo qualche centinaio di metri. Il fatto è che l’uomo è fatto per camminare sulla terra e circondato dall’aria e non nelle condizioni assolutamente sfavorevoli che lo stesso Wolk rappresentò con una certa ironia nel disegno mostrato in Fig. 16. Fig. 15 Fig. 16 Si trattava quindi di rivedere completamente l’equipaggiamento del nuotatore d’assalto, meglio conosciuto come uomo “Gamma”, in modo che potesse diventare uno strumento militare realmente efficace e temuto dal nemico. Prima di tutto si doveva agevolare al massimo il nuoto sia in superficie, durante la fase iniziale di avvicinamento all’obiettivo e quella finale di rientro (che costituivano la gran parte della durata della missione), sia sott’acqua, durante la fase di attacco all’obiettivo e di applicazione degli esplosivi. Quindi via gli scarponi zavorrati da palombaro, che sarebbero stati sostituiti dalle pinne (i primi pinnotti, costruiti nelle varianti più o meno asimmetriche dalla Superga e dalla Pirelli), via la maschera che avrebbe potuto produrre riflessi durante il nuoto in superficie tali da far individuare l’operatore da parte del nemico. La maschera comunque sarebbe stata quasi inutile per la visione subacquea visto che la fase d’attacco avveniva al buio completo e gli operatori erano addestrati ad individuare i punti di aggancio degli esplosivi alla nave da colpire usando esclusivamente il tatto. L’operatore era dotato di pinzetta stringinaso (vedi Fig. 17), da indossare durante l’immersione di attacco, e portava in testa una specie di retina che aiutava a confonderlo con oggetti e detriti galleggianti. Lo stesso pesante ed ingombrante vestito “Belloni”, utilizzato dagli operatori dei maiali, era stato sostituito da una muta intera in completa foglia di gomma, piuttosto fragile e ben poco protettiva in acque fredde. La fase di applicazione dei bauletti esplosivi da parte dell’operatore Gamma è ben rappresentata dal disegno del comandante Wolk in Fig. 18. Su richiesta del gruppo dei Gamma, la Pirelli produsse un modello di autorespiratore ad ossigeno espressamente concepito per questa nuova specialità (vedi Fig. 19), con una autonomia ridotta a soli 40 minuti, ma con caratteristiche di ingombro, peso e volume, drasticamente inferiori rispetto ai modelli a lunga autonomia. In Fig. 20 lo stesso apparecchio è indossato dalla MOVM (Medaglia d’Oro al Valor Militare) Prof. Luigi Ferraro, universalmente riconosciuto, insieme a Duilio Marcante, come padre della didattica subacquea italiana, nonché fondatore della Technisub. Ferraro fu indubbiamente l’uomo Gamma italiano più famoso con le straordinarie imprese di Alessandretta e di Mersina in Turchia nell’ultimo conflitto mondiale, durante le quali da solo affondò o danneggiò gravemente ben 4 mercantili che trasportavano materiali per gli inglesi. Fig. 17 Fig. 18 Fig. 19 Fig. 20 Gli italiani, oltre ad essere stati i precursori di queste specialità militari, ne divennero anche i punti di riferimento per le altre marine militari straniere che vollero dotarsi delle stesse unità di assalto. Gli stessi tedeschi, che dal punto di vista militare certo avevano poco da imparare da altre nazioni, riconobbero nel gruppo Gamma una organizzazione di assoluta eccellenza nel mondo e chiesero di addestrare il loro personale presso i gruppi operativi dei mezzi d’assalto e dei Gamma italiani. Nell’immediato dopoguerra, lo sport subacqueo cominciò a diffondersi anche sulle coste italiane prevalentemente come “caccia subacquea”, disciplina che si stava diffondendo più per vera e propria esigenza alimentare, vista la fame che aveva lasciato la guerra, che per passione sportiva. Si andava sott’acqua spesso con attrezzature costruite in proprio, tagliando vecchie camere d’aria di automobili ed incollando i vari pezzi così ottenuti con lastre di vetro o di plexiglass, in modo da ricavarne rudimentali maschere. Ci furono poi alcuni che, vista la buona disponibilità di questi autorespiratori militari ad ossigeno, che potevano essere acquistati per poche lire nei magazzini di materiale militare dismesso, pur non sapendo assolutamente nulla circa la loro tecnica di impiego, non esitarono ad utilizzarli durante le loro battute di pesca, più come riserva d’aria per prolungare le loro apnee di qualche minuto che come vere e proprie unità SCUBA. A partire dal 1946 l’unità SCUBA moderna, costituita dall’autorespiratore Cousteau-Gagnan, stava cominciando a diffondersi, in Francia prima ed nel resto del mondo poi, ma sarebbero passati quasi dieci anni prima che questo autorespiratore fosse disponibile al grande pubblico in Italia, anche se a costi non accessibili alla maggior parte dei subacquei di allora. Alcune delle poche aziende italiane che erano rimaste attive nella produzione di attrezzature subacquee per uso militare e sportivo (Pirelli, Cressi) intravidero le potenzialità commerciali che si stavano delineando, potendo offrire un apparecchio di respirazione autonoma concepito espressamente per l’impiego sportivo-venatorio e con costi di acquisto accessibili al grande pubblico di quegli anni. Naturalmente, progettare e produrre gli apparecchi giusti non era sufficiente: occorreva anche insegnare ai futuri clienti il loro impiego in sicurezza, in modo da ridurre drasticamente il numero di incidenti spesso mortali che si verificavano tra i tanti utilizzatori degli ARO militari. Questi, completamente ignari delle regole di impiego e dei rischi potenziali per un uso non corretto di tali apparecchi, spesso si immergevano ben al di là dei suoi limiti operativi, incorrendo in incidenti che quasi sempre si concludevano nel modo peggiore. La Cressi si impegnò su entrambi i fronti e, a tal proposito, assunse il suddetto Prof. Luigi Ferraro come Direttore Tecnico. Chi meglio di Ferraro conosceva intimamente l’autorespiratore ad ossigeno e poteva quindi suggerire all’azienda come sviluppare un modello per l’impiego sportivo e venatorio da parte di subacquei dilettanti? Il progetto di Cressi si consolidò con il modello “47” (vedi Fig. 21), così battezzato proprio perché fu messo in produzione a partire dal 1947. Nella foto di Fig. 22 si vede lo stesso apparecchio impiegato da Egidio Cressi durante una delle sue immersioni estive alle isole Eolie. Vediamo ora nel dettaglio i punti salienti di questo apparecchio che furono definiti proprio per ottimizzarne l’impiego come apparecchio di tipo sportivo-venatorio. Dimensioni del sacco polmone. Queste furono drasticamente ridotte rispetto a quelle degli apparecchi militari, ad eccezione di quelli per i nuotatori Gamma che erano già stati modificati durante il periodo bellico. La stessa Cressi propose inizialmente due sacchi di volume leggermente diverso per due modelli di apparecchio di diversa autonomia: il tipo “leggero”, con autonomia dichiarata di 1,3 ore, ed il tipo “pesante”, con autonomia di circa 3 ore. Il volume tipico di questi sacchi polmone si attestò tra i 5 e i 6 litri. Numero e dimensioni delle bombole di ossigeno. Mentre per gli ARO militari lo standard era di 2 bombole da almeno 2 litri, per il “47” e tutti i modelli equivalenti prodotti in quegli anni, la bombola divenne unica con volume variabile tra 0,8/1 litri per i modelli “leggeri” e 2 litri per i modelli “pesanti”. Fig 21 Fig. 22 Spostamento del gruppo rubinetteria/by-pass da destra a sinistra. La ragione di questa modifica sta nel fatto che, essendo stati questi autorespiratori destinati principalmente alla pesca subacquea ed essendo i “destri” in numero preponderante rispetto ai “mancini”, il sub poteva tranquillamente manovrare il by-pass con la mano sinistra mentre con la destra impugnava il fucile. Semplificazione della valvola di erogazione dell’ossigeno. Nei modelli militari destinati agli operatori dei mezzi d’assalto, il gruppo by-pass era costituito da un circuito di erogazione a flusso costante di gas, con portata regolabile dall’operatore, e da una valvola manuale di by-pass con la quale si poteva dare ossigeno al sacco per qualunque necessità (vedi Fig. 23). In questi apparecchi sportivi, visti gli obiettivi di semplificazione e di riduzione dei costi, restò soltanto la funzione di by-pass manuale (vedi Fig. 24). Negli autorespiratori ad ossigeno Cressi fu poi introdotto un dispositivo brevettato che sarebbe stato poi l’elemento di riconoscimento per tutti gli apparecchi prodotti dalla casa genovese anche negli anni successivi: la “botticella” di raccolta del liquido di condensazione e di salivazione. Questo elemento fu sicuramente suggerito da Ferraro memore dei problemi legati all’efficienza del filtro della calce sodata in presenza di una quantità eccessiva di acqua. Maschera granfacciale. Osservando il catalogo del 1947 della Cressi, si può notare che gli ARO proposti erano privi di maschera granfacciale.Questa situazione si ritrova anche per alcuni modelli offerti dalla concorrenza in quegli anni (es. Polifemo Pirelli). Negli anni successivi però la maschera granfacciale diventa una dotazione standard di questo apparecchio (vedi cataloghi Cressi negli anni seguenti). Questa apparente stranezza si può giustificare ancora una volta con l’intervento di Ferraro il quale, dovendo organizzare metodi e materiali didattici per la fase di addestramento all’uso di questi apparecchi, non poteva non considerare la sicurezza aggiuntiva offerta da una maschera granfacciale nel caso dei più pericolosi incidenti che potevano verificarsi con l’uso di questo autorespiratore (svenimento sott’acqua per anossia o stato convulsivo per iperossia). Non a caso l’impiego della maschera granfacciale resterà sempre obbligatorio per le immersioni in acque libere anche nei programmai didattici della FIPS fino ai giorni nostri. Fig. 23 Fig. 24 Durante il periodo che va dall’armistizio dell’8 Settembre 1943 alla fine della guerra, la sede addestrativa dei Gamma fu trasferita da Livorno a Venezia, sull’isola di Sant’Andrea. Qui il lavoro di sviluppo del materiale destinato agli operatori dei SLC e dei Gamma, continuò con il supporto della Pirelli e la supervisione del comandante Belloni. Per la precisione l’attività a Sant’Andrea continuò anche dopo la fine della guerra per circa 2 anni, finché tutta la zona portuale di Venezia e dell’alto Adriatico fu sgombrata dai campi minati e dai relitti affondati dai tedeschi prima della loro ritirata. Tra i vari modelli sperimentati, ci fu anche il cosiddetto “modello sportivo”, come lo chiamò Belloni, che era derivato direttamente da quello sviluppato per i Gamma. Il progetto venne migliorato per l’impiego sportivo e per la pesca subacquea con l’aggiunta di una maschera granfacciale (la stessa impiegata sul modello G50) e di uno snorkel integrale con valvola di chiusura automatica in immersione (vedi Fig. 25 e Fig. 26). Questo modello, chiamato “Poseidon”, iniziò la fase di produzione nel 1947 e fu affiancato, a partire dal 1952, dal fratello maggiore “Polifemo” che aveva lo stesso sacco polmone del modello professionale “L.S. 901” e veniva venduto senza maschera granfacciale (vedi Fig. 27 e Fig. 28). La forma tipica del sacco polmone del Poseidon ma anche le sue prestazioni tipiche, del tutto identiche al disegno mostrato nel catalogo Cressi del 1947, fa supporre che la Cressi abbia utilizzate alcune parti di questo autorespiratore per completare il modello “leggero” mostrato nel catalogo. Questo modello sarebbe poi scomparso negli anni successivi e il “47” sarebbe stato proposto esclusivamente nella versione “pesante”. Questa ipotesi è confortata dal fatto che la Cressi, nell’immediato dopoguerra, mise a catalogo anche alcuni autorespiratori prodotti dalla Pirelli (es. C.F. 49 e C.F. 69), agendo di fatto come distributore dell’azienda milanese. fig. 25 Fig. 26 L’unica esperienza significativa al di fuori dei confini nazionali dell’impiego di questo tipo di autorespiratore per scopi diversi da quelli militari, la si deve all’austriaco Hans Hass, famoso zoologo e documentarista subacqueo che, a partire dalla spedizione in Grecia nel Mar Egeo del 1942, si servì di un autorespiratore ad ossigeno Draeger, il modello “Tauchretter” (vedi Fig. 29, Fig. 30 e Fig. 31), che poi sarebbe diventato il suo inseparabile compagno d’immersione anche in tutte le spedizioni successive. Questo autorespiratore, pur avendo prestazioni simili a quelle dei modelli sportivi italiani del primo dopoguerra, aveva due elementi principali che lo distinguevano da questi: il circuito respiratorio di tipo ciclico anziché pendolare (caratteristica tipica di molti modelli della casa di Lubecca) e il sacco polmone disposto nella parte posteriore del subacqueo, immediatamente dietro la testa (vedi la celebre foto in Fig. 32 che mostra Lotte Hass in immersione con questo apparecchio). Lotte fu la moglie/modella/segretaria del celebre scienziato austriaco. Tuttavia, nonostante le esperienze maturate da Hass e dal suo team e la straordinaria campagna mediatica e pubblicitaria realizzata dai sui film e dai suoi libri, nessuno in Austria e in Germania pensò di proporre questo apparecchio al grande pubblico e svilupparne il relativo programma addestrativo. Restò quindi una esperienza limitata al settore scientifico e divulgativo senza conseguenze di tipo commerciale per quanto riguarda le attrezzature impiegate nelle varie spedizioni di Hass. Fig. 27 Fig. 28 Fig. 29 Fig. 30 Fig. 31 Fig. 32 Cosa succedeva nel frattempo in Italia sul versante della formazioni dei nuovi subacquei sportivi che avrebbero dovuto impiegare i nuovi autorespiratori ad ossigeno? Ancora una volta Luigi Ferraro, coadiuvato dall’inseparabile Duilio Marcante, avrebbe fatto da apripista. Il tutto iniziò nell’estate del 1948 al camping del Touring Club Italiano di Marina di Campo, all’Isola d’Elba. Come si può notare dalle foto di Fig. 33 e di Fig. 34, Ferraro impiega come apparecchio per la formazione dei primi subacquei ricreativi gli ARO Cressi modello “47”, messi a disposizione dal suo datore di lavoro Egidio Cressi per motivi pubblicitari. Fig. 33 Fig. 34 L’esperienza viene ripetuta l’anno successivo all’Isola di Ischia e nel 1950 alle Isole Eolie a bordo di un motoveliero, inaugurando così quello che sarebbe diventato il turismo subacqueo. Naturalmente Ferraro sapeva bene che, da solo, il numero di subacquei che avrebbe potuto addestrare all’uso corretto di questo autorespiratore era molto limitato e tale da non poter generare un movimento di sportivi ed appassionati in grado di giustificare la produzione, a livello industriale, di questi apparecchi. Occorreva quindi allargare il bacino di utenti di questi corsi, attraverso una organizzazione didattica capillare e presente in tutto il territorio italiano. Prima che l’obiettivo finale di Ferraro si concretizzasse nel 1957 con l’ingresso nella FIPS, la federazione del CONI per la pesca sportiva, i nuovi programmi e materiali didattici continuavano ad essere sviluppati e messi a punto attraverso nuove fondamentali esperienze. Queste furono dedicate alla creazione ed all’addestramento dei primi nuclei sommozzatori delle principali organizzazione militari e paramilitari italiane. Il primo corso fu organizzato nel 1952 e consentì di creare il primo nucleo sommozzatori dei Vigili del Fuoco (vedi Fig. 35 e Fig. 36). Negli anni successivi a tali corsi si aggregarono gli altri corpi dello Stato e cioè i Carabinieri, la Polizia e la Guardia di Finanza che costituirono i loro nuclei sommozzatori autonomi. In questi primi corsi di tipo professionale, l’autorespiratore di base restò quello ad ossigeno, apparecchio che venne anche adottato dagli stessi nuclei sommozzatori per l’espletamento di molte delle loro missioni operative, quando le profondità lo consentivano (vedi Fig. 37 e Fig. 38). Anche se gli utenti di riferimento per queste nuove attrezzature restavano prevalentemente i pescatori subacquei, segnaliamo che l’autorespiratore ad ossigeno, in particolare nella sua versione sportiva, fu efficacemente impiegato anche nell’ambito del nascente settore della fotografia e della videoripresa subacquea. Riportiamo qui a titolo di esempio le foto di Fig. 39 e di Fig. 40 che mostrano due pionieri del documentarismo e della videoripresa subacquea, Lino Pellegrini e Victor De Sanctis, entrambi con ARO. Fig. 35 Fig. 36 Fig. 37 Fig. 38 Fig. 39 Fig.40 Ma analizziamo un po’ più da vicino le tecniche costruttive impiegate nella produzione di questi apparecchi destinati all’uso sportivo. Queste erano restate di tipo semiartigianale con la maggior parte delle operazioni di produzione fatte ancora a mano. Facciamo l’esempio dei sacchi polmone che venivano costruiti tagliando e sagomando fogli di tela gommata che poi venivano assemblati tra loro con processo di cucitura o incollaggio e poi definitivamente vulcanizzati (vedi sacco polmone del Cressi modello “47” in Fig. 41 ed il sacco polmone del Pirelli “Poseidon” in Fig. 42). Fig.41 Fig.42 L’unico elemento in foglio di gomma naturale del sacco polmone era spesso incollato e vulcanizzato nella parte anteriore di questo per consentire l’introduzione del filtro della calce sodata, grazie alle notevoli doti di elasticità della gomma naturale (vedi Fig. 43 e Fig. 44). Fig.43 Fig.44 Anche le parti metalliche di questi autorespiratori richiedevano lunghi processi manuali di costruzione, a volte richiedenti elevate professionalità. A titolo di esempio mostriamo due elementi fondamentali degli ARO Cressi, il filtro della calce sodata (vedi Fig. 45) ed il by-pass dell’ossigeno (vedi Fig. 46). Fig.45 Fig.46 Entrambi questi componenti venivano assemblati mediante lavorazione meccanica di fogli o barre di ottone marino. I pezzi risultanti di queste lavorazioni venivano poi uniti tra di loro mediante processo di saldobrasatura ed infine sottoposti a nichelatura chimica. Nel caso del rubinetto a due vie, per poter assicurare la perfetta tenuta pneumatica senza guarnizioni, si doveva anche procedere all’accoppiamento senza giochi tra i due elementi del componente, attraverso un processo di lucidatura manuale con pasta abrasiva. L’intero processo non era esattamente compatibile con una produzione di massa di questi apparecchi, sia dal punto di vista dei costi che da quello delle maestranze disponibili, e probabilmente fu una delle cause che portarono alla decisione da parte della Cressi di interrompere definitivamente la produzione di questi apparecchi alla fine degli anni ’70. Per questi motivi, quando la richiesta di autorespiratori ad ossigeno di tipo sportivo diventò sostenuta, grazie soprattutto alla creazione del settore di addestramento nell’ambito della FIPS, la Cressi decise di rimpiazzare il modello “47” con il modello “57B” (vedi Fig. 47) che sarebbe diventato il cavallo di battaglia delle scuole FIPS dal 1957 alla fine degli anni ’80, anche dopo l’uscita di produzione di questo apparecchio verso la fine degli anni ’70. Tutti i componenti metallici dell’autorespiratore (filtro, by-pass, rubinetteria, rubinetto a due vie, piastra frontale di collegamento con il sacco polmone) sarebbero rimasti invariati, ma la vera novità fu il processo di produzione del sacco polmone che veniva ora realizzato attraverso lo stampaggio ad iniezione di due pezzi in gomma naturale che poi venivano collegati tra loro ed infine vulcanizzati (vedi Fig. 48). Nel ridisegnare il nuovo sacco polmone, la Cressi optò per una forma a “ferro di cavallo” con l’aggiunta delle due appendici poste nella parte superiore del sacco e simmetriche rispetto al bocchettone del filtro, che consentivano di aumentare leggermente il volume totale (che passava dai 6 litri del “47” a 6,5 litri) e, allo stesso tempo, di elevare il baricentro del sacco con sensibile riduzione dello sforzo respiratorio. Il giogo ed la cinghia ventrale del nuovo ARO, realizzati in cuoio nel modello precedente, venivano realizzati in tessuto di nylon. Fig.47 Fig.48 Queste modifiche consentirono alla Cressi di ridurre sensibilmente il costo di produzione dell’apparecchio. A questo punto il lettore potrà giustamente chiedersi: ma come è possibile che, nonostante l’introduzione sul mercato italiano dell’autorespiratore ad aria già a partire da metà degli anni ’50, l’impiego di questo apparecchio nell’ambito della didattica FIPS è rimasto così diffuso fino alla fine degli anni ’80? Lasciamo rispondere lo stesso Duilio Marcante padre, insieme a Luigi Ferraro, della didattica subacquea sportiva in Italia il quale, nel celeberrimo “Manuale Federale d’Immersione” testo fondamentale nelle scuole FIPS per qualche decennio, dice espressamente: “Nel sistema di insegnamento approvato dalla nostra federazione l’ARO si inserisce innanzi tutto quale apparecchiatura da addestramento. Infatti buona parte dell’addestramento viene fatta con questo autorespiratore non automatico. Che impone un continuo controllo della situazione idrostatica, che consente di escogitare un notevole numero di esercizi maggiormente formativi, che impone una correttezza ed un dosaggio particolare dei movimenti ed infine una respirazione volontariamente alterata e continuamente controllata. Il fatto che solo il terzo grado ne ammetta l’uso è una prova che questo autorespiratore si considera riservato agli esperti.” Nelle parole di Marcante si intuisce perché tutti gli ARO concepiti per l’addestramento sportivo in Italia restarono di tipo pendolare, proprio perché la respirazione alterata necessaria con questo sistema veniva considerata tra gli elementi formativi dell’apparecchio. Grazie a questa impostazione assolutamente originale per la didattica italiana in quegli anni, molte scuole FIPS si dotarono di numerosi 57B, anche grazie al loro costo limitato (vedi Fig. 49 e Fig. 50). Fig.49 Fig.50 L’ARO per Marcante resterà sempre un oggetto da amare ma anche da odiare. Da amare, perché gli aveva consentito di sviluppare una metodologia didattica altamente formativa e selettiva, ma anche da odiare, visti i tanti incidenti mortali verificatisi con questo autorespiratore e a cui aveva dovuto assistere nel corso della sua vita, anche a carico di amici fraterni (vedi la morte di Dario Gonzatti nella baia di San Fruttuoso di Camogli nel 1947 esperienza dalla quale elaborò l’idea del Cristo degli Abissi, che riuscì poi a vedere realizzata nel 1954). Quando Luigi Ferraro lasciò la Cressi per fondare nel 1962 la sua azienda, la Technisub, ci si poteva aspettare che avrebbe messo sul mercato un autorespiratore ad ossigeno in grado di strappare quote di mercato al Cressi 57B. E così fu, in un certo senso, solo che questo ARO, che era stato concepito con caratteristiche innovative e prestazioni di altissimo livello, non fu mai considerato un apparecchio destinato all’attività formativa ma, caso mai, un apparecchio di tipo professionale che si poneva in competizione con i modelli equivalenti presenti sul mercato e prodotti da aziende sia italiane che straniere (es. Pirelli, Salvas, OMG, Draeger, etc.). Questo modello, chiamato semplicemente “Nuovo ARO” (si veda la versione standard con bombola unica in acciaio in Fig. 49 e la versione militare con doppia bombola in alluminio in Fig. 50), fu messo sul mercato nel 1973 ma non ottenne mai l’atteso successo di vendite soprattutto per il suo prezzo che era decisamente molto più alto dei modelli analoghi in commercio. Fig.51 Fig.52 Come già anticipato, verso la fine degli anni ’70 la Cressi decise di interrompere definitivamente la produzione dei suoi ARO 57B e, pertanto, si pose il problema di come sostituire questo apparecchio che ancora restava un elemento fondamentale di formazione presso le scuole FIPS. All’epoca le cosiddette didattiche “commerciali” di provenienza statunitense non erano ancora penetrate in Italia, ma il periodo di monopolio della FIPS nella didattica subacquea italiana stava ormai volgendo al termine. Walter Bosio, ex incursore della marina militare, accettò la sfida della sostituzione del Cressi 57B e si mise a lavorare d’impegno per sviluppare un modello di autorespiratore concepito espressamente per l’addestramento sportivo ma che fosse anche moderno, economico e di facile producibilità. Il risultato di questo lavoro portò al progetto del “Naubos AR88”, modello disponibile in due versioni e prodotto dalla Nautilus di Milano: la versione base con unica bombola ventrale (vedi Fig. 51) e la versione “trasformabile” con due bombole e relativi by-pass, disposti sui due lati del sacco polmone (vedi Fig. 52). Andiamo ora a vedere nel dettaglio i principali elementi progettuali di questo autorespiratore insieme alle ragioni che portarono alla scelta di determinate soluzioni. L’elemento che subì il massimo stravolgimento rispetto al 57B fu senza dubbio il sacco polmone. Quello dell’ARO Cressi, pur essendo molto semplice costruttivamente, risultava anche piuttosto fragile e suscettibile di continue rotture soprattutto per la scarsa resistenza dei punti di collegamento tra il sacco polmone, il giogo e la bombola. Proprio per evitare queste rotture una delle cose che si insegnava all’inizio dei corsi era quella di impugnare l’ARO dalla rubinetteria quando lo si movimentava a secco. L’altra causa di rottura del sacco era l’invecchiamento della gomma che, specialmente quando sottoposta ai raggi UV, si incrudiva e produceva crepe e rotture nei punti più sollecitati. Prendendo spunto da alcuni modelli militari, il progettista decise di sviluppare un sacco a due elementi: uno esterno in robusto tessuto spalmato con funzione di trasmissione e resistenza ai carichi operativi e uno interno, in lattice di poliuretano, con sola funzione di contenimento del volume di gas necessario al funzionamento dell’autorespiratore. Il sacco interno poteva essere facilmente introdotto all’interno dell’involucro esterno attraverso cerniere lampo o aperture con velcro. Fig.53 Fig.54 Gran parte dei componenti metallici del 57B (filtro della calce sodata, piastra frontale, rubinetto a due vie) vennero sostituiti con componenti costruiti in nylon rinforzato con fibre di vetro. Questo materiale si prestava magnificamente ad essere stampato in grandi quantità e a costi contenuti. Analizzando l’immersione tipica di addestramento in piscina o in acque libere con questi autorespiratori, ci si rese conto che le autonomie concesse dal filtro della calce sodata e dalla bombola da 2 litri del 57B, erano nettamente superiori alle effettive necessità con la conseguenza di dover spesso, tra una sessione addestrativa e l’altra, scartare calce ancora attiva o dover ricaricare bombole ancora parzialmente cariche. Pertanto, per economizzare al massimo l’impiego di questo apparecchio per le immersioni didattiche, il volume del filtro fu portato da 1 kg a 700 grammi e quello della bombola da 2 litri a 0,8/1 litri, a seconda del tipo di bombola scelta (acciaio o alluminio). Il by-pass restò in ottone ma stampato e cromato e la tenuta del pistone venne migliorata con l’inserimento di o-ring. L’intera imbragatura dell’apparecchio venne rivista e migliorata per una maggiore efficacia ed un maggiore comfort del subacqueo in immersione. Ne derivò un autorespiratore molto compatto e leggero (la versione base monobombola pesava soltanto 3,5 kg contro i 7,8 kg del 57B). Dopo l’uscita di questa autorespiratore nel 1988, la FIPS modificò i materiali didattici relativi all’insegnamento dell’ARO, che sarebbe diventato un semplice corso di specialità, sostituendo i riferimenti al 57B con quelli del nuovo apparecchio. Nel 1990 la Nautilus propose anche un apparecchio di tipo professionale, il Naubos AR90, con sacco polmone maggiorato (da 5,2 litri a 6,5 litri) e bombola da 2 litri ma senza grandi successi commerciali. In quegli anni ci fu un altro noto produttore italiano di attrezzature subacquee, Demetrio Morabito, titolare della Mordem, che propose anch’egli il suo autorespiratore ad ossigeno (vedi Fig. 53), un apparecchio indubbiamente molto innovativo ma che purtroppo non riuscì a sfondare sul mercato e ad essere preso in considerazione per la sostituzione del Cressi 57B presso le scuole subacquee FIPS. Fig.55 Fig.56 Uno dei motivi di questa incompatibilità con la didattica FIPS era costituito dal particolare boccaglio “autosigillante” (vedi Fig. 54) di questo apparecchio (una pallina in materiale plastico tirata da una cordicella a sua volta energizzata da una molla, chiudeva automaticamente l’ingresso del boccaglio nel caso in cui il sub perdeva contatto con esso). L’impiego di tale boccaglio avrebbe imposto la necessità di modificare alcune tecniche di base, tecniche ormai consolidate da anni nell’impiego di tali autorespiratori (abbandono e presa di contatto con il rubinetto a due vie). Questo modello, dopo essere stato prodotto soltanto in qualche decina di esemplari andò definitivamente fuori produzione alla fine degli anni ’90. Abbiamo infine cercato di comprendere come il fattore costo di questi autorespiratori sportivi ad ossigeno avesse potuto influenzare la loro diffusione sul mercato dall’immediato dopoguerra alla fine degli anni ’90 quando, di fatto, tutti i modelli descritti in precedenza erano ormai fuori produzione. Dopo aver rintracciato i loro prezzi di vendita (espressi in Lire) da vecchi listini e cataloghi e l’anno a cui si riferivano, li abbiamo analizzati con un programma, disponibile gratuitamente su Internet, che è in grado di calcolare il valore attuale in Euro. Il risultato di questa analisi è mostrato nella tabella seguente. Osservando la tabella mostrata qui sopra, si possono trarre le seguenti conclusioni: Il prezzo del Cressi 57B è stato quello più basso in assoluto e mai più nemmeno avvicinato dagli altri apparecchi introdotti sul mercato successivamente. Tale prezzo, specialmente nei primi anni di produzione di questo autorespiratore, era meno della metà di quello di un autorespiratore ad aria e quindi molto più conveniente da acquistare per le scuole FIPS, anche in numeri elevati. Gli apparecchi prodotti successivamente all’uscita di scena del 57B, costavano più del doppio rispetto al modello Cressi, nonostante gli sforzi progettuali fatti per renderli il più possibile economici. L’ARO Technisub aveva prezzi improponibili per il settore della didattica subacquea Per gli ARO prodotti più recentemente, il prezzo restò comunque più alto rispetto agli obiettivi iniziali soprattutto perché i numeri di vendita furono notevolmente inferiori rispetto a quelli attesi. Ciò impedì un ragionevole ammortamento dei costi per la fabbricazione delle numerose attrezzature di produzione che erano state previste dalle nuove soluzioni progettuali (principalmente stampi ad iniezione dei componenti in materiale plastico) e quindi la necessità di caricare una parte notevole di tali costi sul prezzo di vendita dell’apparecchio. Nel momento di massima spinta commerciale di questi apparecchi (inizio anni ’80, primi anni ’90) in Italia erano arrivate in forze le didattiche d’oltreoceano (PADI, SSI, NAUI, ecc.) che stravolsero completamente il mondo dell’insegnamento della subacquea in Italia a livello sportivo e ricreativo. Acquisire un brevetto per andare sott’acqua stava diventando molto più semplice e meno selettivo che in passato, i nuovi programmi didattici non imponevano più agli allievi lunghi periodi di addestramento con esercizi difficili e spesso noiosi e con attrezzature di difficile controllo e che comunque non sarebbero state quelle impiegate nelle immersioni in acque libere. L’ARO era improvvisamente diventato una attrezzatura completamente fuori dai nuovi obiettivi formativi e dal contesto commerciale nel quale queste nuove didattiche si muovevano. La stessa FIPS, che aveva dovuto in qualche modo adattarsi alla nuova situazione adottando modifiche sostanziali ai suoi programmi formativi, pur non mandandolo definitivamente in pensione, lo relegò ad attrezzatura speciale nell’ambito di uno specifico programma di specialità. La pietra tombale per questi apparecchi italiani a circuito pendolare, ammesso che avessero avuto qualche prospettiva di vendita anche nel settore commerciale e all’estero, fu l’uscita nel 2003 della norma europea EN 14143, dedicata appunto agli apparecchi di respirazione subacquei a circuito chiuso. Tale norma prevedeva limiti ben precisi per il livello di anidride carbonica che questi apparecchi avrebbe dovuto garantire all’interno del circuito respiratorio, indipendentemente dalla tecnica di respirazione che veniva insegnata nelle scuole italiane. Questi limiti furono impossibili da mantenere con gli ARO pendolari e questo decretò la loro fine come apparecchi da immettere sul mercato con marcatura “CE”. Era quindi finita un’epoca storica della subacquea italiana, epoca iniziata con le straordinarie esperienze militari degli operatori dei mezzi d’assalto della seconda guerra mondiale e terminata con l’invasione delle cosiddette didattiche commerciali, iniziata formalmente nel 1979 con il primo corso PADI organizzato in Italia da Guido Picchetti e poi pienamente realizzata negli anni ‘90. Da quel momento gli ARO pendolari si sarebbero trasformati da ineguagliabile attrezzatura per la formazione di nuovi subacquei sportivi a semplici oggetti da collezione per gli appassionati di storia dell’immersione. Per fortuna, grazie ai numerosi appassionati e cultori presenti sul territorio nazionale, molti di questi apparecchi vengono ancora restaurati e riportati a livelli di piena efficienza. Alcuni di essi sono impiegati in corsi dedicati agli autorespiratori ad ossigeno, altri utilizzati in immersioni nei fiumi, nei laghi e in mare per riscoprire il fascino vero dell’immersione, nell’assoluto silenzio che solo questo autorespiratore sa regalare.